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Quarantaquattro anni. Cinquecentoventotto mesi. Sedicimilasessanta giorni. Trecentottantacinquemilaquattrocentoquaranta ore. Ventitremilionicentoventiseimilaquattrocento minuti.
Giusto per dare una dimensione temporale.
E’ il tempo trascorso da quando in quei primi giorni di Ottobre del 1973 ci siamo visti per la prima volta nel cortile dell’Istituto per Geometri di Afragola che ospitava, in epoca di emergenza scolastica, quando il numero degli studenti superava di gran lunga la disponibilità di accoglienza delle aule, la 1° B del Liceo Scientifico di Afragola. Si, perché la nostra scuola non aveva neanche un nome: si chiamava anonimamente Liceo Scientifico di Afragola. Ci ricordiamo tutti che Anna, Ida e Luciana si presentarono accompagnate dalle loro mamme ma soprattutto che si presentarono con il loro bel grembiule nero. Erano le uniche del Liceo e ci voleva coraggio per fare una cosa del genere visto che si sta parlando del 1973, vale a dire solo cinque anni dopo del fatidico ’68 e soprattutto quattro anni prima del purtroppo più grigio ’77 dove oltre ai figli dei fiori per le strade circolavano anche le P38. Un’eternità si potrebbe dire, e sicuramente lo è, visto che nel frattempo è trascorsa la nostra vita con tutto quello che una frase del genere comporta. Ma di quello si è trattato: lo scorrere delle nostre vite.

La 3 B del 1975
Gli alunni con la Professoressa di Italiano Raimondini
Ogni tanto, nella mia ossessione di cercare di riportare tutto ciò che osservo a qualche legge matematica che ne governi il divenire, faccio questa considerazione: il 6 Aprile 2012 ho “festeggiato” (non è proprio il termine esatto con cui ho salutato l’evento) i miei 26 anni di lontananza da Napoli. Siccome quell’anno festeggiavo i miei 52 anni quella cosa voleva dire che in quell’anno metà della mia vita l’avevo trascorsa lontano dalla mia città di nascita. 26 infatti è esattamente la metà di 52 e quindi voleva dire che da quel momento in poi avrei trascorso più tempo fuori Napoli che in quel posto. Ebbene, nonostante ciò considero la mia vita napoletana come quella che maggiormente mi caratterizza. Certo, questo appare abbastanza scontato. L’adolescenza è il periodo formativo di una persona e quindi è assolutamente normale che uno si senta legato a quell’esperienza. Credo però che si tratti di qualcosa in più.
Da Napoli io sono partito ma credo in realtà di non essermene mai andato.
Non so se gli altri amici che hanno condiviso questo stesso tipo di esperienza potranno dire la stessa cosa. Oltre alle mie sorelle a Napoli di mio c’è ben altro. Di sicuro il cuore e sono convinto che, se è così, vuol dire che la vita che ho vissuto nei miei primi ventisei anni mi è piaciuta e la ricordo con grandissimo piacere. Il mio barbiere è ancora a Napoli e quella è la giustificazione che mi sono creato per fare in modo che la mia assenza dalla città partenopea non sia troppo lunga. Certo, mi costa una cifra ogni taglio di capelli, ma va bene così.
E’ ovvio che in questo scampolo di vita voi ci siete e siete stati un pezzo importante.
Se è passato un sacco di tempo da quando sedevamo insieme nei banchi di scuola e ancora siamo lì a cercarci per raccontarci quello che abbiamo fatto in tutto questo periodo vorrà pur dire qualcosa. Succede a tutti? Non lo so. Succede a noi e questo mi rende solo felice.
Provate solo a immaginare cosa è successo in tutto questo tempo. Abbiamo avuto sette Presidenti della Repubblica. Si sono succeduti ben trentasette governi con venti Primi Ministri (Amato, Andreotti, Berlusconi, Ciampi, Cossiga, Craxi, D’Alema, De Mita, Dini, Gentiloni, Fanfani, Forlani, Goria, Letta, Monti, Moro, Prodi, Renzi, Rumor, Spadolini). Uno di questi era proprietario di televisioni. Ci sono stati ben dieci Presidenti negli Stati Uniti. Uno di questi faceva l’attore. Il Napoli ha vinto due scudetti. Hanno sparato ad un Papa. Hanno impiccato Saddam Hussein. Hanno ucciso Gheddafi. Pinochet è stato detronizzato da un referendum. In Irpinia c’è stato un terremoto che ha causato circa tremila vittime. Il muro di Berlino è caduto insieme all’impero sovietico e alle idee di molti. Hanno distrutto le Torri Gemelle a New York. L’Italia ha vinto due campionati del mondo di calcio. Abbiamo lasciato la lira e adottato l’euro come moneta corrente. A Bologna è scoppiata una bomba nella Stazione ferroviaria causando più di ottanta morti. La tecnologia ha invaso ogni singolo istante della nostra vita. La Cina è diventata una grande potenza economica. Sorrentino ha vinto un Oscar con La Grande Bellezza come Salvatores con Mediterraneo. Dario Fo ha vinto un Nobel così come Rita Levi-Montalcini, Carlo Rubbia e Franco Modigliani insieme a Mario Capecchi e Riccardo Giacconi. Nelson Mandela è diventato Presidente del Sudafrica. I giudici Falcone e Borsellino sono stati uccisi dalla Mafia. Abbiamo avuto la mucca pazza. C’è stata la guerra del Kosovo. La Jugoslavia si è spaccata. Abbiamo avuto Tangentopoli. La Democrazia Cristiana è scomparsa. E’ stata sciolta la P2. Margaret Thatcher è stato Primo Ministro del Regno Unito. E’ scoppiata una centrale nucleare a Cernobyl. A Tienanmen un ragazzo ha affrontato un carro armato.
Insomma un sacco di cose. E a noi? Cosa è successo a noi? Come è normale che sia (quarant’anni sono proprio tanti) anche a noi ne sono capitate tantissime. E, come è ovvio, si tratta di cose piacevoli, belle, elettrizzanti, indimenticabili ma anche brutte, forse terribili. E’ la vita. Spesso non rientra nelle nostre facoltà definire il nostro percorso. Non ho mai creduto nel destino anche se non mi illudo che ognuno possa scegliere la vita che vuole. Sono sempre stato convinto che ognuno di noi possa crearsi delle opportunità. Anche qui: non tutte quelle che si possono sognare. Lo so che non avrei mai potuto diventare il Presidente degli Stati Uniti (tra l’altro non m’interesserebbe neppure) perché non è proprio vero che se una cosa la si vuole, si riesca comunque ad ottenerla. Volere non è sempre potere. Se nasci a Timbuctu è abbastanza difficile, io dico impossibile, che tu possa diventare uno scienziato che il vinca il Nobel. Certo per chi ha studiato un po’ di statistica possiamo sempre dire che matematicamente parlando una probabilità esista. Ma noi sappiamo che non è così. Non ho mai creduto ai miracoli. Ho sempre creduto nelle opportunità. E molto spesso sta a noi andarle a costruire, coltivarle e sfruttarle. Sarà anche per questo che non ho mai sofferto d’invidia. La reputo una grandissima fortuna. Sono sempre stato felice della fortuna degli altri. Ovviamente sto parlando di fortune che si sono realizzate a fronte di lavoro, studio e spesso, ma non sempre, di sacrifici. Posso anche incazzarmi, e di brutto, quando vedo plateali ingiustizie: emeriti ignoranti che ricoprono posti di responsabilità senza avere alcun titolo a farlo ma che si trovano lì solo grazie a raccomandazioni o per aver perpetrato qualche ingiustizia a qualcun altro più meritevole. Ecco, si: le ingiustizie mi fanno arrabbiare. Ma non sono mai stato invidioso. Neppure dei raccomandati. Il professor Credentino comunque direbbe a questo punto che sto rischiando di andare fuori tema, per cui cerco di ritornare sull’argomento che mi ero posto.
Non posso, e a dire il vero neanche voglio, parlare per gli altri. Questo per due ordini di motivi: il primo è che con alcuni di voi ho perso i contatti e quindi mi risulta impossibile conoscere gli avvenimenti che si sono verificati nelle vostre vite; il secondo è per una questione di correttezza. Non devo essere io a parlare delle vostre cose. A massimo potrei parlare delle mie esperienze (e un poco mi piace parlarvene) ma solo per dare continuità a quel rapporto che necessariamente, dopo aver discusso con la commissione d’esame in quei primi giorni di Luglio del 1978, si è dovuto interrompere. Essendo stato l’ultimo della 5aB ad essere esaminato, ho decretato la fine delle attività scolastiche della nostra gloriosa classe e quindi è venuto meno il motivo principale che ci teneva legati se non fisicamente almeno dal punto di vista emotivo. Con quella discussione per ognuno di noi si chiudeva un’epoca e da lì tutti abbiamo preso le nostre strade che ci hanno portato anche lontano, geograficamente parlando, ma devo constatare che la tecnologia (benedetti siano gli ingegneri informatici: e io lo sono!) ci ha aiutato a cancellare nel giro di qualche giorno la distanza che si era accumulata in tutti questi decenni. Benedetti siano Whatsapp e Facebook. Ci è voluto poco infatti a ritrovare volti, modi di essere, atteggiamenti che avevamo lasciato dentro quell’aula e che, a quanto possiamo constatare, non abbiamo mai abbandonato. Che Pippo fosse fatto un po’ “a cazzi suoi” – lo dico nel modo più divertente e con la massima stima che gli riservo – lo sapevamo tutti. Per chi se ne era dimenticato sono bastati solo un paio di giorni e Lilia, con i suoi post, ce l’ha fatto subito ricordare. Dell’intraprendenza di Liliana non possiamo dimenticarcene. Dell’impegno che a volte debordava in vero martirio di Giuliana io ne ho chiara memoria. Della bellezza di Angelica…. che dire. E delle parole sempre dolci di Anna oppure di Gina? Di Luciana credo che tutto hanno nella mente il suo profilo giudizioso e materno, come non ritrovarlo nei suoi messaggi. Ecco, sono passati tanti anni ma in fondo siamo quelli che eravamo. E se devo dire una cosa di cui sono estremamente convinto: siamo delle belle personcine. Non ho dubbi su questo. Non sono uno portato normalmente all’autoincensamento. Non saremo stati la miglior classe che c’è stata nella storia della scuola italiana, però mi sento di poter affermare che siamo stati un buon esempio. Ce lo dicevano anche persone esterne al nostro giro per cui un po’ di verità ci deve essere in questa affermazione. A volte capita. E a noi è capitato.
Ed eccoci: sono uscito dal liceo con uno schifosissimo 48 ma ben consapevole che c’erano state persone che erano state trattate ancora peggio. Non ho mai digerito il 53 dato ad Anna e a Gina che ho visto come un affronto a persone che ho sempre considerato dei veri e propri geni. In qualunque altra scuola un sessanta l’avrebbero rimediato senza alcun problema. Ma noi avevamo una commissione di veri ignoranti (lo dico senza ombra di dubbio) che neanche capirono il capitale umano che gli era capitato per le mani. Poveri imbecilli. Da lì, insieme a Fortunato, che ho poi perso per strada (ma lui la sua strada l’ha trovata prima di me) mi sono iscritto ad ingegneria e in tempi non proprio da perfetto studente (c’ho impiegato ben sette anni) mi sono laureato in Ingegneria elettronica nel 1985. Sei mesi dopo, dopo un intervallo lavorativo passato alla dipendenze del professore con cui avevo preparato la tesi e con una retribuzione da vero schiavo, sono approdato a Roma dove ho lavorato prima alle dipendenze della VitroSelenia (oggi VitroCiset) e poi anche da imprenditore. Avevo infatti creato una software house insieme a Paolo Girasole (per chi è un seguace di MasterChef si tratta del marito di Tiziana Stefanelli, l’avvocato cuoco che è stata vincitrice della seconda edizione di quella trasmissione qualche anno fa) che ho chiamato Run Time. Il tempo di effettuare la mia corsa in effetti è arrivato nel ’93, in epoca immediatamente post Mani Pulite, quando ho lasciato Roma per Milano. Ovviamente in un trasferimento del genere c’è di mezzo una donna che poi nel ’95 è diventata mia moglie. In effetti lo è ancora ma questa è una storia troppo complicata – e anche brutta- per essere scritta: un buon motivo per vederci quindi perché può essere raccontata. Non ho avuto figli e non ho mai capito se questa è stata una scelta oppure è semplicemente capitato. Forse sarà stata anche una mia incapacità (nel senso più esteso che si può dare ad una simile affermazione). Comunque nel ’95 sono arrivato a Milano ed è da quel tempo che vivo in quella città che può sicuramente avere tanti difetti ma non quello di non offrire una vita per tanti aspetti interessante. Parlo soprattutto dal punto di vista culturale, lavorativo che sono ottimi parametri per me per stabilire il proprio livello di qualità della vita. La buona qualità della vita comunque non mi ha evitato nel 2001 di lasciare casa e trovarmi da solo in una città non mia a farmi da mangiare tutte le sere che tornavo a casa dal lavoro. Di necessità si fa virtù e la vita ti costringe ad andare avanti e un po’ di tempo dopo ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada Franca, la compagna con cui divido tutto da più di dieci anni (casa, sogni, viaggi, tempo, ….). Lei è una neonatologa. E’ bravissima nel suo mestiere tanto che ha lavorato presso un’importante clinica di Milano ed ha visto nascere – con la responsabilità di essere il primo dottore a prenderli in cura – i neonati di tanti personaggi famosi (la Penelope di Gianna Nannini, il figlio di PerSilvio Berlusconi, i figli di tantissimi calciatori dell’Inter o del Milan). Nel 2008 comunque mi è capitato di completare gli studi al MIP, la Business School del Politecnico di Milano, dove ho conseguito il mio EMBA (Executive Master in Business Administration) che ha letteralmente sconvolto la mia vita. Partecipando infatti alle iniziative dell’Associazione degli Alumni di quella scuola, ne sono anche diventato VicePresidente, ho avuto occasione di organizzare eventi importanti e di conoscere tantissime persone. Nel 2009 ho realizzato un evento a cui hanno partecipato circa quattrocento persone che aveva come ospite l’ing. Carlo De Benedetti, nello stesso anno ne ho organizzato un altro con il Prof. Padoa Schioppa. Poi ci sono stati Davide Oldani, il Conte Niccolò Branca e tante altre cose tra cui anche la partecipazione ad alcune regate ……. senza sapere neanche come si fa un nodo marinaro. E poi i viaggi. Ho contato ben 37 paesi visitati: Argentina, Austria, Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Cina, Croazia, Cuba, Danimarca, Egitto, Francia, Germania, Giappone, Giordania, Grecia, Guatemala, India, Inghilterra, Irlanda, Libano, Lussemburgo, Messico, Monaco, Olanda, Portogallo, Scozia, Siria, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Sud Africa, Thailandia, Tunisia, Turchia, Ungheria, USA. Tutti belli. La mia curiosità comunque non trova pace e penso sempre al prossimo. Insomma quando ci vediamo e mi raccontate anche di voi?